giovedì 25 agosto 2011

Pareggio di bilancio e Costituzione

1 Con interessanti e tempestive iniziative, senatori e deputati della maggioranza e della opposizione, hanno avanzato una serie di proposte per riscrivere l'art. 81 Cost., architrave del nostro impianto delle istituzioni di bilancio. Il Governo ha annunciato una sua iniziativa sulla stessa materia. E' molto importante che una discussione seria su questa materia parta dal Parlamento che è il titolare dei poteri delle borsa, consentendo di riesaminare, nel tempo di riflessione necessariamente non breve che la Costituzione prevede per la sua modifica, una serie di nessi che richiedono, a parere di chi scrive, la "vista lunga". Scopo di questa breve riflessione è offrire qualche primo elemento per mettere a fuoco alcuni nessi relativi ai rapporti di potere tra governo e parlamento, tra stato ed autonomie territoriali.

 

2 Nel momento in cui l'Unione europea è alla ricerca, spinta da eventi troppo a lungo solo subiti, di un nuovo approdo istituzionale  e mentre Germania e Francia, governate da coalizioni di centro destra, con soluzioni diverse ma rispettose del loro impianto costituzionale, hanno reso più stringenti i rispettivi meccanismi di controllo fiscale (entrata – spesa), appare utile che anche la nostra classe politica mostri di volersi misurare con questo tema. Potrebbe essere il segno di un cambio di passo condiviso nelle nostre istituzioni fiscali. Tuttavia per far ciò in modo credibile occorre aver chiaro alcuni punti; in primo luogo che modifiche costituzionali così delicate devono avere il giusto tempo di preparazione e realizzare effettive convergenze, politiche e tecniche, molto ampie, cioè segnare un cambio reale nella committenza politica; in secondo luogo, che tutte le misure necessarie ad accelerare i tempi di correzione strutturale dei nostri conti e a varare misure per una crescita equa e duratura, sono adottabili nel contesto attuale, senza alcun limite o vincolo di natura costituzionale. La Costituzione non impedisce alcun pareggio di bilancio, di qualsiasi natura. Sarebbe veramente grave consentire lo stravolgimento del testo costituzionale, usando il pretesto dell'emergenza finanziaria, per conseguire obiettivi di divisione politica e di rafforzamento di una maggioranza in evidente difficoltà. Se si vogliono risanare i conti si mettano in campo misure adeguate. E la Costituzione certamente non c'entra niente. Anzi, misure strutturali che spostano potere d'acquisto dai ceti abbienti verso i giovani, chi è in difficoltà e verso le imprese che producono ed esportano sono del tutto coerenti con la nostra Carta fondamentale. Costituzionalizzare poi un concetto tecnicamente molto controverso, come la solidarietà tra generazioni, che è comunque già chiaramente presente nell'impianto della Carta, è un'altra operazione a forte contenuto ideologico.

 

3 Tuttavia quello della governance del bilancio pubblico è un tema cruciale, su cui è utile misurarsi, se si colloca la situazione italiana nel contesto europeo. Si può scegliere come criterio base di equilibrio il pareggio tra tutte le entrate e le spese finali, trattando in modo specifico la decisione sul debito e si può scegliere di bloccare su questa regola anche tutti i singoli enti del titolo V o i comparti che lo compongono (Regioni, Comuni, Province, Città metropolitane); tuttavia anche alla luce della nuova governance europea (e delle recenti riforme tedesche e francesi) non appare giuridicamente appropriato e tecnicamente consigliabile, in linea economica, espellere dai mezzi di finanziamento della spesa pubblica (in particolare per investimento) il debito. Le ragioni sono arcinote e infatti i testi presentati fanno riferimento a maggioranze qualificate per fare debito o al concetto di pareggio economico strutturale, cioè corretto per il ciclo e al netto delle una tantum. Allora si tratta di capire se si vuole dare un messaggio ai mercati o invece si vuole porre mano ad una revisione strutturale delle nostre istituzioni di bilancio, sottraendole ad una egemonia ragionieristica e formalistica, che ha dato fin qui risultati assai deludenti, innestandole invece  in una solida e trasparente governance economica. In questa egemonia la struttura giuridica delle posizioni soggettive è stata usata fin qui come difesa di un certo modo di strutturare il bilancio e le leggi fiscali, ma si tratta in larga misura di un pretesto per difendere posizioni di controllo. Ma il controllo degli andamenti di spesa e entrata ha oggi bisogno di altri e più aggiornati strumenti.

 

4 In ogni caso, l'affermazione di principio di un criterio di pareggio strutturale dovrebbe tradursi in meccanismi procedurali appropriati nelle parti della Costituzione che disciplinano la formazione della legge dello Stato (art. 81 Cost.) e nel titolo V. E in queste due parti dovrebbe tradursi in meccanismi "neutri" di garanzia, per le opposizioni e le autonomie territoriali, a supporto della decisione dell'Esecutivo di intervenire nei procedimenti legislativi e normativi a tutti i livelli, per salvaguardare questa regole; e tali meccanismi dovrebbero seguire la fase di gestione e di rendicontazione, individuando appropriati interventi di correzione. Dunque, andrebbero affrontati subito i nodi della trasparenza e monitorabilità dei dati di finanza pubblica che segnano gli sconfinamenti non desiderati. Francia e Germania hanno prassi e istituti consolidati che non assegnano queste informazioni al dominio esclusivo del Ministro dell'economia. E' altresì intuitivo che se tutti gli enti devono essere in pareggio, senza debito, la perequazione statale approfondisce la sua funzione di equilibrio e la centralizzazione della decisione sul debito accentua il tratto centralista del sistema, oggi parametrato sul patto di stabilità, con gli inconvenienti ben noti. Si possono immaginare meccanismi di distribuzione del debito che compensino in modo virtuoso, tra enti (o comparti) in avanzo ed enti in disavanzo, ma si tratta di questioni tecniche complesse, che richiedono adeguate modifiche del titolo V, dove ora l'art. 119 Cost, riconosce una vera golden rule: gli enti possono indebitarsi per fare investimenti. Si tratta dunque di riconoscere in pieno la competenza esclusiva dello Stato nel programmare la l'emissione e la gestione del debito, riconoscendogli una competenze esclusiva (e non concorrente) in materia di coordinamento della finanza pubblica. Risulta ora evidente come tutta la costruzione del titolo V sia stata il frutto di scelte affrettate e tecnicamente deboli, proprio sul tema cruciale dell'autonomia fiscale; ora c'è l'occasione per ritornare in modo approfondito su questi profili, liberandoci dalla cattiva egemonia di economisti e giuristi che hanno assecondato un disegno fondato su gravi equivoci, teorico pratici, a cominciare dall'enfasi sul cosiddetto residuo fiscale, che segmenta il paese senza alcun costrutto. Chi scrive da tempo ha osservato che il vestito di arlecchino fiscale che si sta cucendo addosso al paese serve solo a far scappare gli investitori, nazionali ed esteri. E tutto quanto di sensato si è fin qui fatto (omogeneizzazione dei conti; costi standard, sanzioni agli amministratori incapaci), nulla a ha che fare col federalismo fiscale, che del resto è termine mai usato in Costituzione.

 

5 Con la vigente cornice normativa è stato possibile approvare in pochissimi giorni, in una fase di eccezione, una manovra molto rilevante; la tecnica utilizzata è quella che segna da almeno tre legislature l'assetto dei rapporti di potere tra governo e parlamento: decreti legge; maxi emendamento governativo che chiude la discussione e fiducia. I parlamentari bipartisan, se hanno la vista lunga, dovrebbero chiedersi verso quale punto di equilibrio procedurale intendono spostare il sistema; ritengono che la situazione prevalsa in questi anni sia un punto di approdo per una democrazia europea? Autorevoli esponenti di questa maggioranza ritengono che lo stato di eccezione di questa ultima manovra debba e possa essere la regola; è su queste questioni di procedura che sono poi di sostanza sarà molto interessante capire quale è l'idea dei rapporti governo - parlamento che questi parlamentari intendono alimentare. In altri termini quale è la loro idea di democrazia europea.

 

6 Sono questioni sulle quali occorre riflettere con cura; non ci sembra appropriato trattare le procedure della democrazia rappresentativa come un mero nesso tecnico economico; l'esperienza del secolo che è finito e di quello cominciato, in uno scontro frontale tra calcolo dei mercati finanziari e scelte delle istituzioni democratiche, indica che la governance di questi sistemi e le relative performance economiche, sono intrinsecamente fondati sulla trasparenza e l'equità dei processi di creazione e distribuzione della ricchezza prodotta. Senza partecipazione, senza controllo delle opposizioni, senza strumenti adeguati per il controllo e senza trasparenza, la democrazia rappresentativa si trasforma in una procedura falsamente neutra. C'è un continuum tecnico nell'esame delle scelte fiscali; la sola centralizzazione della decisione "blindata" nel governo, col parlamento che fa da spettatore muto, non serve a tranquillizzare i mercati, ma certamente non produce soluzioni per la crescita. Le lobbies lavorano nelle stanze del governo, come nel parlamento, e blindare la scelta del governo, senza controllo e discussione vera in parlamento, è un tradimento della democrazia europea. Ce lo ha ricordato poche settimane fa una grande autorità, morale ed economica: A. Senn. Le iniziative bipartisan saranno una utile occasione per saggiare la tempra della cultura democratica ed europeista dei nostri politici.

 

Paolo De Ioanna

Consigliere di stato


martedì 2 agosto 2011

La lunga estate delle leggi ad personam

di Franco Cordero   

Il teatro berlusconiano ha movimenti e statue da presepio meccanico. Luglio 2010: Sua Maestà pretendeva che il Senato votasse subito un ddl sulle intercettazioni, emendato dalla Camera; sapendosi seduto sul camino d´un vulcano, temeva l´eruzione; quanta roba bolliva là sotto, dalle serate d´Arcore alla P4. Non c´era più tempo: l´estate porta la scissione nel Pdl; da lì un travaglio chiuso sul filo del rasoio, con l´acquisto d´anime transumanti e sopravvivenza artificiale d´un governo catalettico. Adesso comanda lavori legislativi in settantadue ore, prima che Palazzo Madama chiuda. Nel frattempo pioveva sul bagnato. Annus horribilis: gli votano contro Torino, Milano, Napoli, mentre l´anno scorso aveva nella manica l´asso plebiscitario o almeno credeva d´essere agonista irresistibile; quattro referendum affondano altrettante leggi sue; invocava l´arrocco nel voto sull´arresto d´un parlamentare Pdl (posizione strategica, essendo in ballo la P4) e soccombe ancora, tradito dalla Lega. Non è più lui nella fantasia collettiva e, stando ai casi analoghi, i carismi svaniti non tornano. Questa diversione parlamentare sa d´estremo esorcismo. Vediamola.

 

Delle due novità una non è tale. Secondo l´art. 238-bis (interpolato dalla l. 7 agosto 1992 n. 356), le sentenze «irrevocabili possono essere acquisite ai fini della prova» dei fatti ivi accertati. Allora notavo come in sé non provino niente: l´eventuale apporto istruttorio viene dal materiale raccolto, comunque l´abbiano usato, bene o male, e sta nei relativi verbali; analisi del discorso testimoniale o argomenti induttivi, presi dalla motivazione, valgono nella misura della qualità logica, poco o tanto; e vengono utili anche detective stories intelligenti, come ne scriveva Edgar Allan Poe (Procedura penale, 8ava ed., 2006, 805 sg.). Insomma, ogni giudice deve risolversi l´equazione storica. Se vogliamo attribuire un senso all´art. 238-bis, intendiamolo così: non è richiesta la copia autentica dei singoli verbali, risultando dalla sentenza il contenuto degli stessi; l´interessato può confutarla esibendoli; resta fermo il diritto d´escutere il testimone ogniqualvolta la parte fosse estranea a quel giudizio. Su tale punto, dunque, l´ennesima manomissione pro Domino Berluscone lascia le cose quali erano.

 

L´altro fendente confisca un potere senza il quale i dibattimenti diventano teatro dell´assurdo in mano al guastatore. In limine i contraddittori espongono le rispettive prove: spetta al giudice ammetterle, se compatibili col sistema (non lo sono, ad esempio, iudicia feretri, sedute spiritiche, narcoanalisi, lie detector); e devono essere rilevanti, ossia tali che i relativi fatti influiscano sulla decisione. Questo secondo vaglio cadrebbe, stando ai segnali dal laboratorio, con l´intuibile elefantiasi del procedimento. Nell´arte avvocatesca d´Arcore il capolavoro è gonfiarlo, stando sur place, finché la materia penale svanisca, estinta dal tempo: udienze interminabili e manovra a tenaglia; la seconda ganascia scatta appena il tempo perso superi dati termini; il tutto sparisce dal mondo, come mai avvenuto. Sviluppano un freddo farnetichio i processi «lungo» e «breve», correlati nel piano criminofilo, roba negromantica. Nel vizioso codice vigente esiste ancora qualche limite al perditempo: il presidente taglia le liste «manifestamente sovrabbondanti» (art. 468, c. 2); sull´ammissione decide un´ordinanza, escludendo ogni prova «superflua» (art. 495, c. 4). Nel rito futuribile diventa padrona la parte: sfilano quanti testimoni l´interessato ritiene conveniente indicare; B. voleva escuterne 1500, il cui esame, laboriosamente condotto, riempirebbe vari anni. Passatempo costoso, esperibile da chi abbia tanti soldi. Ad esempio, N prospetta un´ipotesi difensiva nel cui contesto assume qualche vago rilievo la condizione climatica, e porta in aula tutti i meteorologi reperibili nei due emisferi, o chiama duemila testimoni sul seguente tema: conoscono bene l´imputato, omicida flagrante; raccontando quel che sanno sul conto suo forniranno dati alla diagnosi della personalità, importante nel quantificare la pena. Sono innumerevoli le possibili diavolerie.

 

Più delle precedenti, questa ventesima lex ad personam, utile nei casi Mills e Ruby, presenta l´immagine d´un paese sfigurato: decade a vista d´occhio; non ha futuro; e l´uomo che da 17 anni v´imperversa (ma l´azione tossica ne conta almeno trenta), ordina alla troupe d´allestirgli una sporca via d´uscita dai giudizi penali, noncurante della figura. Da come gli ubbidiscono, vediamo a che punto sia l´insensibilità morale. I reggicoda definiscono «sacrosanto» il diritto d´allungare i tempi d´una macchina al collasso. Non stupisce che il Pdl gli corra dietro: perdurando le rendite, lo seguiranno alla porta dell´inferno, con un salto laterale in extremis perché da queste parti la tragedia ha poco sèguito, né valgono fedeltà assolute; ogni domestico misura il padrone a occhiate fredde. Non se le sente addosso? Aspettiamo le scelte leghiste: andargli dietro sarebbe perdita secca, qualunque corrispettivo offra; era gesto astuto votare l´arresto del parlamentare Pdl mercoledì 20 luglio; ricadendo nell´abito servile, mascherato da insofferenze inconcludenti, il Carroccio perderebbe ogni credito. Corre un tempo climaterico. L´ultima mossa conferma quel che sapevamo: l´Olonese non ha freni, né morale né estetico, e nemmeno l´elementare prudenza con cui agivano famosi scorridori. A proposito, viene in mente un caso tedesco 1938: Werner von Fritsch, comandante dell´esercito, deve dimettersi sotto false accuse fabbricate dalla Gestapo; poche settimane dopo risulta innocente ma cosa fatta capo ha; ormai, scrive in una lettera, il popolo tedesco è inseparabile da Hitler, finiranno nell´abisso. Speriamo superfluo lo scongiuro: gl´italiani sanno sopravvivere e Re Lanterna non è «der Führer», sebbene così lo chiamasse sei anni fa un´operosa emissaria Mediaset nella Rai, né sa cosa significhi Götterdämmerung; auguriamogli lunghi ozi in uno dei suoi paradisi, dove non mancheranno le odalische.

 

La Repubblica, 29 luglio 2011