domenica 29 luglio 2007

10090545 sent you a video!

YouTube  Broadcast Yourself™

10090545 wants to share a video with you

Video Description

Rivoli (TO), 1° Giugno 2007 - Il primo intervento di Giorgio Gardiol dell'associazione "Il Girasole". (Prima parte)
Ripresa e montaggio: Andrea Garello & Sonia Iacobone (more)

Personal Message

This is awesome!

To accept my friend request, click here.

To respond to 10090545, click here.

Thanks,
10090545

Using YouTube

YouTube Help
Check the Help Center for answers to common questions.
Your Account Settings
To change your preferences, settings, or personal info, go to the 'My Account' section.
Email Notifications
To change or cancel email notifications from YouTube, go to the Email Options section of your Profile.

Copyright © 2007 YouTube, Inc.

martedì 24 luglio 2007

La modifica della costituzione

domenica 15 luglio 2007

Un referendum che sa di truffa



Sepolta sotto le rovine del muro di Berlino, la disinformatia è risorta. Non a Berlino, ma in Italia - senza escludere che sia riapparsa anche nella Russia di Putin. A praticarla da noi sono sopratutto i grandi organi dell'informazione a stampa. Che si sono trasformati in agenzie di propaganda per la raccolta delle firme per richiedere i referendum sulle leggi elettorali. Per la verità, la disinformatia è congegnata e definita nel comitato promotore del referendum. I grandi giornali «indipendenti» la hanno immediatamente assorbita e ne diffondono le tre falsità: quella secondo cui i referendum mirerebbero sia all'abrogazione del «porcellum», sia alla riduzione del numero dei partiti, sia alla formazione di governi stabili ed omogenei.


È asserire il falso che a) se le firme raccolte per il referendum risultassero sufficienti, b) se il controllo da parte dell'Ufficio centrale della Corte di Cassazione ne dovesse constatare la regolarità, c) se i quesiti referendari fossero dichiarati ammissibili dalla Corte costituzionale, d) se fosse raggiunto nella loro votazione il quorum della metà più uno degli elettori, e) se i voti a favore dei quesiti referendari risultassero maggiori dei voti contrari, se tutto questo succedesse, il «porcellum» di Calderoni sarebbe abrogato. No. La vittoria dei sì al referendum abrogherebbe soltanto alcune disposizioni, frasi, parole del «porcellum». Non abrogherebbe le disposizioni dirette ad attribuire alle segreterie dei partiti il potere di scegliere i membri del Parlamento nel numero risultante dai voti espressi alle liste dei candidati. Ingenerare subdolamente la persuasione che l'esito referendario consentirebbe agli elettori di eleggere i membri del Parlamento è azione fraudolenta.


È asserire il falso sostenere che la vittoria dei sì ridurrebbe il numero dei partiti. I referendum mirano solamente ad attribuire la maggioranza dei seggi, 340 alla Camera, alla lista che ottenga più voti, così come al Senato la maggioranza dei seggi alla lista che, in ciascuna Regione, attenga più volti di ciascuna altra. Qualunque sia il numero dei voti ottenuti. Potrebbero essere solo il 40%, il 30, il 20% dei voti complessivi.


Si badi che, intanto, un premio di maggioranza di tali proporzioni sarebbe di un'enormità paurosa. La legge Acerbo, che diede poi il via all'instaurazione del regime fascista, pur attribuendo un premio di maggioranza altissimo, poneva come condizione per ottenerlo l'aver conseguito il 25% dei voti popolari. Acerbo aveva, insomma, maggiore rispetto almeno per i numeri di quanto non ne dimostrino i promotori del referendum per qualche parvenza di democrazia. Si badi poi - a smentire clamorosamente che i quesiti referendari mirino a ridurre il numero dei partiti - che la legislazione risultante dall'esito affermativo dei quesiti, riguarderebbe le liste, non i partiti. Con conseguenze del tutto evidenti. Oltre quella remota, ma non esclusa, che con il 20% dei voti si ottengano 340 seggi, la più probabile è infatti la formazione di due listoni.


Uno per schieramento. Per non rischiare, i partiti si aggregherebbero senza remora alcuna quanto ad affinità, compatibilità, concordanza e condivisione di mezzi e fini dell'azione di governo. Si aggregherebbero in lista per vincere la elezioni, per poi distinguersi ad elezione avventa, tornando ad essere se stessi. Visto che, come per ogni democrazia che si rispetti, la Costituzione italiana, esclude che i parlamentari siano vincolati da un qualche mandato giuridicamente vincolante e visto che l'esistenza dei partiti, come per ogni democrazia che si rispetti, non è vietata da norme costituzionali.


La riarticolazione dei listoni in partiti riprodurrebbe esattamente la situazione attuale, quella che i referendari denunziano attribuendola ai partiti e non alla ragione vera della crisi, che è a crisi della rappresentanza politica, derivante soprattutto dal bipolarismo coatto che sta invece rendendo sempre più incredibile la democrazia italiana. È perciò propagandare il falso indicare come effetto della vittoria ai referendum la prospettiva di governi stabili ed omogenei. L'effetto sarebbe ineluttabilmente la perpetuazione di quel bipolarismo che i referendari vogliono invece imporre con irresponsabile insipienza e recidiva fraudolenza.



Da “il manifesto” de 11 luglio 2007


Postato da: Giorgio Gardiol


sabato 14 luglio 2007

REFERENDUM

Comitato di Firenze per la difesa della Costituzione

In questi giorni la RAI, la stampa "democratica" ed i massimi esponenti di AN e DS sono fortemente impegnati a sostenere il referendum elettorale proposto da Guzzetta e Segni; noi riteniamo che l'attuale legge elettorale, giustamente definita dai suoi stessi autori una "porcata" , debba essere profondamente modificata o, meglio ancora, sostituita da una legge elettorale più aderente ai principi costituzionali; il referendum Guzzetta - Segni non va però in tale direzione; se possibile peggiora la "porcata" per il carattere liberticida che lo caratterizza.Il Comitato di Firenze per la difesa della Costituzione, fortemente preoccupato per le argomentazioni mistificatrici con le quali si richiede la firma a sostegno del referendum, ha predisposto l'allegato volantino con invito a tutti i democratici a spiegare la vera natura ed i pericolosi effetti per la vita democratica di tale referendum e sollecita un forte impegno delle forze politiche democratiche per scongiurare i pericoli di tale irresponsabile iniziativa referendaria.Il Comitato è inoltre disponibilre con i suoi aderenti a partecipare a tutte le opportune iniziative volte a demistificare tutta la propaganda che anche da settori democratici viene fatta a sostegno di tale referendum
Tre motivi (e potrebbero essere di più) per non firmare il referendum elettorale Guzzetta - Segni
1° - consente ad una minoranza di governare il Paese: ripropone il principio della legge Acerbo del 1923 (voluta da Mussolini per garantirsi la vittoria elettorale del partito fascista), e stabilisce che la lista che ottenga più voti (anche un 25%) conquisti la maggioranza assoluta della Camera.Così non si elimina la frammentazione politica in tanti partiti e partitini, ma si incoraggia il formarsi di listoni eterogenei, alleanze opportunistiche destinate a sfasciarsi il giorno dopo le votazioni per ridar vita a una miriade di gruppi parlamentari.La proposta viola poi l'uguaglianza del voto, sancita dalla Costituzione per dare ad ogni cittadino il medesimo peso (art. 48) e mortifica il diritto di tutti i cittadini di scegliere liberamente il partito per partecipare alla determinazione della politica nazionale (art. 49).
2° - mantiene le liste bloccate dei candidati, imposte dalle segreterie dei partiti senza alcuna possibilità di scelta da parte degli elettori. In tal modo, viene accentuata la trasformazione dei partiti politici da strumenti di partecipazione democratica dei cittadini in comitati elettorali e centri di potere clientelare.
3° - mantiene l'assurdo premio di maggioranza al Senato attribuito regione per regione, con le conseguenze negative che oggi si sono già verificate: parità tra i due schieramenti, o addirittura maggioranze diverse al Senato e alla Camera.

Per questi, e per tanti altri motivi, la proposta di referendum Guzzetta-Segni deve essere respinta. Si deve respingere un referendum che anche i suoi promotori giudicano insufficiente: resterebbe in vigore per anni. Non si può accettare il ritorno a leggi di sapore fascista (non è un caso che questa proposta di referendum sia sostenuta da AN); occorre salvaguardare la democrazia e l'effettiva rappresentatività del Parlamento.
Certo, la legge elettorale vigente deve essere sostituita con una riforma in Parlamento che, in conformità ai principi della Costituzione, consenta a tutti i cittadini di scegliere i propri rappresentanti e di essere rappresentati in Parlamento.
www.firenzeperlacostituzione.it

lunedì 2 luglio 2007

"Salviamo la Costituzione: aggiornarla non demolirla"



COORDINAMENTO NAZIONALE DEI COMITATI PER LA DIFESA DELLA COSTITUZIONE*


“ Salviamo la Costituzione : aggiornarla non demolirla”


Un anno fa, con un referendum popolare, gli italiani/e hanno respinto,a grande maggioranza, un progetto di riforma costituzionale che modificava sostanzialmente l’asseto fondamentale della Costituzione del 1948. E HANNO RIAFFERMATO CHE LA COSTITUZIONE REPUBBLICANA RESTA IL FONDAMENTO DELLA DEMOCRAZIA ITALIANA, il presidio supremo dei DIRITTI E DELLE LIBERTA’ DI TUTTI, la tavola dei principi, dei valori e delle regole che stanno alla base della convivenza comune e nei quali si riconoscono gli italiani. L’esito del referendum NON PRECLUDE LIMITATE E PUNTUALI MODIFICHE COSTITUZIONALI. Ma a condizione che esse siano COERENTI CON I PRINCIPI E I VALORI DELLA COSTITUZIONE REPUBBLICANA E SIANO COMPATIBILI CON IL SUO ASSETTO FONDAMENTALE. Il referendum del 2006 ha anche sancito la CONDANNA DI RIFORME COSTITUZIONALI “ DI PARTE” . LA COSTITUZIONE E’ DI TUTTI, garantisce i diritti e le libertà di tutti, o comunque di una larga maggioranza.CON QUEL VOTO IL POPOLO SOVRANO HA DUNQUE AFFIDATO AL PARLAMENTO UN COMPITO: RISTABILIRE IL PRINCIPIO DELLA SUPREMAZIA E DELLA STABILITA’ DELLA COSTITUZIONE; METTERE FINE ALLA STAGIONE DELLE RIFORME COSTITUZIONALI “ DI PARTE”. Ciò richiede innanzi tutto che si approvi UNA MODIFICA DELL’ARTICOLO 138 DELLA COSTITUZIONE CHE, ALZANDO LA MAGGIORANZA PREVISTA PER L’APPROVAZIONE DI LEGGI DI REVISIONE COSTITUZIONALE ,RENDA IMPOSSIBILI RIFORME COSTITUZIONALI IMPOSTE A COLPI DI MAGGIORANZA. Si otterrebbe, in tal modo, il risultato di METTERE FINALMENTE “IN SICUREZZA“ LA COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA, così come è da tempo stabilito in molte altre grandi democrazie. Ma a un anno dal referendum, la riforma dell’articolo 138 non ha fatto alcun passo in avanti. Giace nei cassetti della commissione Affari costituzionali del Senato. E ciò, nonostante essa costituisca il primo punto del programma elettorale dell’Unione, e dunque il primo impegno assunto dai partiti della maggioranza parlamentare nei confronti degli elettori che li hanno votati, anzi nei confronti di tutti i cittadini italiani. Nel contempo, il confuso confronto sulla indispensabile riforma della vigente legge elettorale vede riproporre da varie parti progetti di radicale modifica della forma di governo. Anche in tal caso, ribadiamo che limitate modifiche, coerenti con la scelta di principio per la forma di governo parlamentare, e modellare sulle esperienze delle migliori democrazie parlamentari europee, come quella all’esame della Commissione Affari costituzionali della Camera, possono essere conpatibili con la scelta espressa dal referendum del 2006 e possono anzi rafforzare la democrazia italiana. Ma ciò non vale per le proposte di elezione diretta del primo ministro e di attribuzione al medesimo del potere di scioglimento del Camere, che riproporrebbero un modello di premierato assoluto ignoto all’esperienza delle democrazie moderne. Un modello incompatibile con i principi di separazione ed equilibrio dei poteri che caratterizzano la struttura delle Costituzioni democratiche.
IL COMITATO PROMOTORE DEL REFERENDUM DEL 2006 RIVOLGE PERCIO’ UN FORTE APPELLO ALLE FORZE POLITICHE E AI PARLAMENTARI TUTTI, AFFINCHE’ : 1) SIA RISPETTATA LA VOLONTA’ DEL POPOLO SOVRANO ESPRESSA IN QUEL REFERENDUM; 2) SIA AVVIATO IMMEDIATAMENTE L’ESAME PARLAMENTARE DEI PROGETTI DI REVISIONE DELL’ARTICOLO 138.
Una petizione popolare a sostegno di queste richieste sarà sottoposta alla firma delle italiane e degli italiani nei prossimi mesi e sarà presentata al parlamento. Per maggiori informazioni :
www.salviamolacostitizione.it
( “ La Repubblica” 25 Giugno 2007)


VITO PRUDENTE
e-mail : nusco1@alice.it

sabato 30 giugno 2007

Verso il sindaco d'Italia?

Verso il sindaco d'Italia?



Massimo Villone, 28 giugno 2007






Il punto

L'avvio del confronto sulla legge elettorale subisce un ritardo. Tutto si complica, con la presentazione a firma di Anna Finocchiaro di un disegno di legge ispirato - a quanto è dato sapere - al doppio turno francese.Una tempestività senza pari. Sembrava che nell'Ulivo si stessero rafforzando le posizioni favorevoli a un modello di tipo tedesco. Invece, la presentazione viene a poche ore dalle esternazioni di Walter Veltroni nella cerimonia di investitura svoltasi a Torino, in cui il già leader del PD si è appunto espresso per il modello francese. E dunque la presentazione a stretto giro della proposta fa entrare direttamente nel confronto parlamentare la dialettica interna del PD. Questo non può produrre effetti positivi.
Il punto vero nel centrosinistra oggi è nel dibattito se si debba uscire dal bipolarismo coatto e paranoico nel quale ci troviamo, e che non sta producendo nel nostro paese né vera stabilità né tanto meno buon governo. Ciò comporta una scelta di sistema elettorale che abbandoni il maggioritario.
Quindici anni di sperimentazione del maggioritario - di collegio prima, con premio di maggioranza poi - hanno peggiorato le condizioni di salute del nostro sistema politico. La frantumazione è cresciuta e il ceto politico non si è rinnovato. La fotografia dei governi in carica documenta - in entrambi gli schieramenti - una elevatissima continuità, a prescindere dai risultati elettorali. Né i governi si sono mostrati capaci di consolidarsi nel consenso degli elettori, disperdendo al contrario, nel corso del mandato, il patrimonio di fiducia conseguito all'investitura. Dunque, quali che fossero gli intenti e i risultati iniziali delle scelte fatte nei primi anni 90, ora bisogna cambiare. Quelle scelte non producono più né buona politica né buon governo.
L'ipotesi francese non tiene alcun conto di tutto questo. E nemmeno tiene conto del fatto che il maggioritario di collegio ha reso centrale nel nostro sistema politico la Lega, forza territorialmente concentrata che vede moltiplicato il suo peso da un modello elettorale in cui decisivamente condiziona un gran numero di collegi nelle regioni del nord. Berlusconi vinse nel 2001 ancor prima del voto, stipulando l'accordo con Bossi. E da quell'accordo venne poi la devolution. Tutto questo rimane vero sia per il turno unico, sia per il doppio turno. Oggi, un centrosinistra che scegliesse il maggioritario a doppio turno dovrebbe prepararsi - volendo vincere - ad un accordo inevitabile con la Lega. E cosa ne pensa il centrosinistra?
Ancor più preoccupa la presentazione della proposta di legge elettorale sul modello francese se prelude ad altre iniziative, connesse alla ben nota propensione del leader del PD per le investiture plebiscitarie secondo il modello del "sindaco d'Italia". Questo richiederebbe una pesante riforma costituzionale. Si andrebbe anzitutto in contrasto radicale con l'esito del referendum costituzionale del 2006, in cui un'ampia maggioranza del popolo italiano di certo ha inteso escludere ogni deriva in quel senso. Secondo quella indicazione, alla Costituzione vigente al più possono apportarsi ritocchi, non radicali innovazioni. E soprattutto si farebbe una scelta opposta a quella di cui c'è bisogno oggi, momento in cui si deve puntare ad uscire dal leaderismo e dall'estrema personalizzazione della politica per recuperare forme di partecipazione democratica efficace. Senza illudersi che la partecipazione di un giorno, quando si vota, o magari di due se si aggiunge una primaria, possa bastare. I cittadini devono contare tutti i giorni, e non avere voce solo all'inizio del mandato di governo, e poi alla fine, dopo cinque anni. La partecipazione "usa e getta" non ci basta. Inoltre, molteplici inchieste di stampa e televisive hanno ampiamente dimostrato che il modello del "sindaco d'Italia" - che troviamo già realizzato nelle regioni e negli enti locali - non produce certo buon governo e buona amministrazione, ma piuttosto il contrario.
La Sinistra Democratica conferma la sua scelta per un sistema elettorale ispirato al modello tedesco, come miglior compromesso. Un esito complessivamente proporzionale per uscire dal bipolarismo coatto, con soglia di sbarramento per contrastare la frammentazione; metà dei collegi assegnata secondo un sistema maggioritario uninominale per favorire il radicamento degli eletti, la scelta degli elettori, il bipolarismo; l'altra metà con liste proporzionali bloccate per riconoscere ai partiti un ruolo nella selezione del ceto politico. Quanto al "sindaco d'Italia", ribadiamo ancora una volta una netta contrarietà ad ogni forma di populismo plebiscitario. Questo ha trovato in Berlusconi il suo migliore interprete, ed ha già recato gravi danni al paese.
(da Aprileonline)

Elementi per una riflessione interna e pubblica.

di Vito Prudente



Il livello di bassezza culturale, etica e politica cui siamo giunti esprime, a mio giudizio, il grado di decadenza della nostra società, all’interno della quale, al vertice della Piramide, troviamo l’unico “valore” di riferimento che le società capitalistiche avanzate hanno saputo costruire e consolidare: il denaro/merce. In nome della “produttività” e del “prodotto interno lordo”, il capitalismo “globalizzato” ha ulteriormente determinato, come conseguenza del suo essere, una riduzione dei tempi da destinare ai bisogni individuali (tempo “per sé”) e di quelli da dedicare alla comunicazione/socializzazione (relazione con gli altri/e); lo stesso va ribadito per il tempo da destinare ai bisogni culturali/formativi (tempo per il sapere e per “l’ozio creativo”). In nome del Profitto più sfrenato e della concorrenza si lavora di notte, a 40° di calore, a ritmi sempre più sostenuti. Quest’ultimi, secondo dati molto recenti, sono responsabili dell’impennata del tasso di stress e di malattie di origine psicologica nei soggetti umani.Questa tendenza è socialmente trasversale: colpisce, infatti, persone appartenenti ad aree professionali diverse (lavoratori di linee di montaggio, operatori telefonici dei call-center, lavoratori dei supermercati e degli ipermercati, docenti della scuola, programmatori informatici). Dalla Fisica abbiamo imparato che per compiere un lavoro occorre energia (L=F S). Vero. Ma nessuna legge della Fisica ci ha insegnato che per stare bene da un punto di vista “psicologico” e “fisico” l’uomo e la donna debbano lavorare per otto ore al giorno(1), fare straordinari di Sabato e di Domenica, lavorare in condizioni di lavoro pessime e nocive, essere disponibili in qualsiasi momento (lavoro a chiamata/legge 30). La Fisica e la Chimica ci dicono, invece, che il nostro organismo per avere un certo equilibrio deve ubbidire a precise regole biolologiche; dette regole, nella vigente organizzazione del lavoro, non sono affatto considerate e rispettate.Si può quindi affermare che l’esercizio del lavoro, nel presente modello di sviluppo capitalistico/liberista (ed anche in alcuni settori del terziario), è una pratica che confligge profondamente con i tempi psico-fisici dell’organismo umano: nella scala dei valori della nostra società al primo posto c’è la “produttività” di beni e servizi da raggiungere attraverso ritmi di lavoro sempre più sostenuti, poi la persona umana con le sue emozioni, la sua dignità, la sua salute. Risultato: incremento delle patologie di origine psicologica (stress nervoso, depressione, stanchezza mentale, disagio psicologico, fobie, ansie da insicurezza dovute alla precarietà occupazionale, sindrome del “Burn-out”, riduzione dei tempi di vita destinati alle relazioni interpersonali), con costi sociali e sanitari molto alti(si pensi, ad esempio, al vertiginoso aumento del consumo di psicofarmaci). L’art.32 della Costituzione, recita: ”La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto della persona…”. Domanda: se gli attuali ritmi, condizioni di lavoro ed i conseguenti “stili di vita” rappresentano il punto di origine di patologie di natura psicologica come quelle sopra indicate, ha senso continuare ad adottare il presente modello economico-produttivo? Come sappiamo, lo stato di salute psico-fisico delle persone è organicamente subordinato anche al numero di ore di lavoro effettivamente prestate nel corso della giornata, nonché al suo grado di fatica (ritmi, turnazione, nocività, stress, ripetitività delle mansioni).Come sappiamo, lo stress da lavoro prodotto da ritmi eccessivi può persino portare a gesti estremi (ne è un esempio il suicidio di quattro operai dell’industria automobilistica Francese “Peugeot", che operavano in linea di montaggio, verificatisi alcuni giorni addietro). Il sindacalismo e la “Politica” conoscono quanto detto? Questo è un tema sul quale la “Politica” dovrà riflettere seriamente non solo nel nostro paese ma anche nell’unione europea nel suo complesso e in tutti i paesi industrialmente avanzati. Ebbene, come si può intervenire sulla contraddizione esistente tra un modello di produzione (ed il suo stile di vita imposto alla società) che “ “sgretola” l’equilibrio psico-fisico di una moltitudine di uomini e donne e ciò che è scritto nella nostra Carta costituzionale? La risposta è particolarmente impegnativa per la “Politica”.Considerando l’attuale distacco esistente tra le istituzioni ed i bisogni reali delle persone, per “erudire” e “sollecitare” l’azione della Politica occorre che il tema in questione diventi, individuando nuove tecniche comunicative, oggetto di dibattito di massa e di controinformazione tra e con i cittadini/lavoratori del territorio. Da dove partire? Sulla base di quanto suddetto, credo che una seria e radicale riflessione di natura essenzialmente culturale/conoscitiva vada proposta dalla nostra Associazione all’attenzione dei giovani e dei lavoratori assumendo come campo d’indagine l’odierno modello di sviluppo (e di consumo) e la sua organizzazione del lavoro. Naturalmente, ciò significherà riflettere su un modello produttivo “privo di sentimenti”, di cui il tempo di lavoro ed i suoi ritmi ne costituiscono l’asse portante. Percorrere questa direttrice, a giudizio di chi scrive, significa, in prospettiva, comprendere e far comprendere le cause “di fondo” che alimentano la contraddizione tra quanto è espressamente scritto nella nostra Carta costituzionale (art.32, nel quale, a mio avviso, è implicito il concetto di prevenzione) ed un modello produttivo e di consumo che sollecita, in misura rilevante, la riproduzione di patologie come quelle indicate nel corso di questo scritto.Rammento che la nostra Carta costituzionale parla di diritto al lavoro (art.1), ma non del lavoro come produttore di disagio e di sofferenza. Va inoltre detto che non solo le condizioni ed i ritmi di lavoro producono disagi legati alla sfera psicologica, ma anche la precarietà del lavoro è fonte di profonda inquietudine e di nevrosi in particolar modo nelle giovani generazioni (un dato:secondo il ministero della Solidarietà Sociale il 15% dei contratti finora stipulati ha riguardato assunzioni di personale per un periodo di lavoro pari a uno o due giorni).Dunque, se un modello di sviluppo e di produzione è responsabile per il 70% di patologie come quelle poc’anzi segnalate, va rilevato che anche la qualità dell’ambiente “esterno” al posto di lavoro ( condizioni dell’habitat /territorio)si riflette, in modo significativo, sullo stato di salute di una moltitudine di uomini, donne, bambini; non sfuggono a ciò, neppure la flora e la fauna.Può sembrare non rispondente al vero, ma se riflettiamo bene ci accorgiamo che il territorio è strettamente “consumato” con la medesima logica di base di questo modello di produzione e di consumo: nel modello capitalistico/liberista il lavoratore, all’interno della fabbrica, non è una persona ma uno strumento/merce con pochi o inesistenti diritti e bassi salari; fuori il posto di lavoro il “capitale” e la speculazione considerano il territorio non uno spazio dove le persone possano entrare in relazione con l’ambiente, ma una merce da consumare piegata ad un profitto privo di etica.Qualche esempio: cementificazione delle coste e di aree montane (vedasi i guasti provocati al territorio della V.Chisone dai giochi olimpici invernali); disboscamento eccessivo; sottrazione di aree fertili all’agricoltura per la costruzione di strade inutili e costose per la collettività (vedasi l’autostrada Torino-Pinerolo); il tentativo (per ora sospeso) di costruzione del ponte sullo stretto di Messina ed altre grandi infrastrutture (T.A.V. Torino – Lione ed altro); allargamento della base militare di Vicenza; inquinamento atmosferico (in Italia la “Politica” non è stata in grado di imporre alle aziende né il rispetto del Protocollo di Kyoto, né ha ubbidito alle direttive europee in materia di emissioni di gas serra); città invivibili. Va ricordato che tale “cultura” è stata incentivata, negli ultimi quindici anni, da una montante politica privatizzatrice che ha affidato ad enti e società private la gestione di “pezzi” di territorio; anche l’acqua, vitale risorsa naturale pubblica, la si vorrebbe trasformare in merce(2). Ancora un dato: se dividiamo il numero di abitanti della nostra Penisola per la sua superficie ci accorgiamo che il territorio/area verde a disposizione di ciascun cittadino è equivalente a quella di un campo di calcio. Il dato testè citato è drammatico,in quanto ci dice che l’attuale ritmo di cementificazione oltre a provocare fenomeni di erosione e di dissesto idro-geologico del territorio (alluvioni,smottamenti,crolli di abitazioni,processi di iniziale desertificazione del suolo), sta altresì producendo una generale alterazione della morfologia del territorio stesso, con conseguente riduzione e/o sparizione di aree verdi destinate al rapporto essenziale cittadini/natura e di territori naturalmente preposti per attività agro-silvo-pastorali.L’ambiente, come involucro naturale dell’equilibrio psico-fisico degli esseri viventi, viene così pesantemente colpito da una logica speculativa di irrazionale cementificazione, tanto da ridurre il tasso di fruibilità e di relazione fra i soggetti viventi, il territorio e la sua rete di ecosistemi. Secondo una ricerca particolarmente attendibile, la riduzione del tasso di fruibilità del territorio e di superficie pro capite verde sollecita e dà origine a comportamenti tendenzialmente nevrotici/ansiogeni nelle persone. Quest’ultimo concetto possiamo riassumerlo con la seguente equazione: meno area verde pro capite uguale più nevrosi. In Italia (ma anche all’estero), c’è una scuola di pensiero (sostenuta da economisti di mezza dose e da politici legati a lobby politico-affaristiche ed al mondo delle infrastrutture e delle grandi opere) che teorizza la “rapina” del territorio con interventi come quelli sopra citati; per costoro, la cementificazione del territorio è espressione di “progresso”. Molti di questi soggetti sanno però che non è così, ma scelgono l’ipocrisia per tenere ben saldo il connubio intercorrente tra politica ed affari (assai caro al “voto di scambio”), molto radicato nell’area politica delle destre Parlamentari italiote. Da registrare che anche in un “pezzo” dell’area politico–parlamentare di centro-sinistra, per dirla ancora con una metafora matematica, l’equazione “cementificazione del territorio uguale progresso” trova non pochi adepti/sostenitori. Domanda: è progresso la riduzione delle aree verdi deturpando il territorio? Per chi scrive (e non solo), certamente no! L’articolo 9 della nostra Costituzione parla di tutela del paesaggio; esso recita: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”.Lo stesso articolo 9, che trova poche analogie nelle Costituzioni del nostro Pianeta, esprime, grazie al legame dei suoi due commi, la peculiarità seguente: ricerca, tutela (intesa come attiva e non passiva protezione) e fruizione del territorio formano un tutto inscindibile (sentenza della Corte Costituzionale n°269 del 1995).Contro la “mercificazione” del Territorio e dell’ambiente in generale da parte del “Capitale” e della speculazione, al predetto art. 9 sono stati inoltre aggiunti “i diritti delle specie animali” (n° 705 ,2949), l’ecosistema del Pianeta (n°3591), la flora e la fauna (N°3809), lo sviluppo sostenibile, la biodiversità e l’acqua (n.4181), la non brevettabilità della vita (4423). La predetta legislazione induce lo scrivente a constatare che quanto è scritto nella nostra “Carta”, in materia di ambiente, trova scarsissimo riscontro nella realtà pratica.A sostegno di quanto affermo, è la nascita in Italia di alcune ”Associazioni Art.9” ( la prima delle quali sorta a Napoli ), costituitesi anche allo scopo di rispondere alla scellerata proposta di totale depenalizzazione dei reati contro il paesaggio/ambiente avanzata da qualche politico interessato alcuni mesi or sono. La tutela della salute degli esseri viventi, voglio infine dire, non va solo intesa come terapia dell’effetto/malattia ma soprattutto come ricerca ed individuazione della cause che favoriscono l’insorgere di determinate e particolari patologie.Da quanto sinora detto, si può tranquillamente affermare che lo stato di salute del cittadino/lavoratore è strettamente subordinato al ritmo di lavoro, alla durata dell’esercizio del tempo di lavoro, nonché alla qualità del territorio (conservazione degli ecosistemi) ed al tasso pro capite di area verde. In appendice a quanto sinora espresso, concludo questo scritto ritenendo essenziale avviare una riflessione su quanto sinteticamente illustrato; e questo per poter individuare, come Associazione, un percorso di ricerca “condiviso” finalizzato alla costruzione di una “due/tre giorni” pubblica (convegno /meeting) nel corso della quale i cittadini possano culturalmente comprendere che i concetti di completa prevenzione e di reale tutela della salute “psicologica”e “fisica” del lavoratore sono organicamente subordinati alle ragioni sopra esposte.Mi rendo conto dell’eventuale impegno (che dovrebbe essere progettato, se i membri dell’Associazione si esprimeranno positivamente, per il mese di Giugno o Settembre del 2008),ma se vogliamo contribuire ad “attuare” ciò che la Costituzione recita, occorre, pur operando in un’area territorialmente limitata ma non piccola, che i cittadini del Pinerolese vengano “chiamati” a riflettere e a discutere sul tema “salute-lavoro-ambiente attraverso la prassi del dibattito,dell’informazione e della controinformazione pubblica. Questo per dare, nel nostro piccolo, valore e forza all’azione della “Politica”. Grazie per la pazienza e l’attenzione.

Vito Prudente
e-mail: nusco1@alice.it


P.S. : se si vorrà operare in questa direzione, occorrerà, più in là, elaborare un progetto da presentare all’ente locale(Comune) ed alle Fondazioni per la richiesta di contributi finanziari.


(1) Sul rapporto tempo libero-ore di lavoro leggasi il volume “Economia dell’ozio” di Bertrand Russel e Paule Lafargue a cura di Domenico De Masi-ed. Olivares.

(2) Per saperne di più sulla campagna nazionale “Questione acqua”, andare sul sito
http://www.acquabenecomune.org/

lunedì 25 giugno 2007

Costituzione, un anno dopo.


Un anno fa, il popolo italiano ha respinto le modiche costituzionali proposte dal centrodestra. Ricorda l'avvenimento un articolo del prof. Giovanni Ferrara, pubblicato oggi su "il manifesto".
Lo allego per la nostra riflessione.



Giorgio Gardiol (giorgio.gardiol@alice.it)


Costituzione, un anno dopo
Perché questo cupo silenzio?

di Gianni Ferrara

Lo scorso anno, esattamente il 25 ed il 26 giugno, gli elettori italiani diedero a se stessi, al mondo e, possiamo dire, alla storia del nostro paese, prova inconfutabile di altissimo senso civico, di profonda sensibilità democratica, di piena coscienza dei propri diritti e delle condizioni istituzionali che li avrebbero potuto garantire e promuovere. Quindici milioni settecentounmila duecentonovantatre elettrici ed elettori, su venticinque milioni seicento sessantatremila seicentoquarantuno votanti, dichiararono il loro consenso, fedeltà e amore alla Costituzione, che per decenni è stata aggettivata come democratica ed antifascista.
Adopero volutamente questa qualificazione del documento costitutivo della nostra Repubblica perché vera e perché evoca lotte, fatti, movimenti, passioni, progetti, speranze, un contesto di identità plurime ma tese ad obiettivi alti di etica civile e sociale, densi di civiltà politica, esigenti giustizia, libertà ed eguaglianza. Fu un evento, quello dell'anno scorso, che, a fronte delle tante miserie che emergono dalle cronache di ogni giorno, esalta la base della Repubblica, il suo fondamento umano - diciamolo, senza tema di retorica - il popolo.
Ebbene, immediatamente dopo quei due giorni, un silenzio massiccio, cupo, ininterrotto, tetragono, è piombato su quella data, sul significato di quella sentita, consapevole, autentica, meravigliosa deliberazione adottata dalla libertà delle donne e degli uomini di questo Paese. Perché mai? Cosa aveva quella decisione per essere condannata con l'espulsione dal dibattito politico, con la cancellazione da ogni agenda, addirittura con la damnatio memoriae di quella che si denomina opinione pubblica?
Aveva ed ha, quella deliberazione popolare, il significato di una scelta netta, univoca, nitida ed imperiosa, la scelta di una democrazia credibile, controllata perché partecipata, piena di contenuti, materiata di diritti, di tutti quelli di libertà, di tutti quelli civili, di tutti quelli politici. E anche di quelli sociali, che, così dicono, costano tanto alle finanze dello stato. Come se fossero i soli a costare. Come se tutti gli altri diritti non costassero, come se per assicurarli, difenderli, garantirne il godimento, l'uso individuale e collettivo non provvedessero, da sempre, appositi apparati statali. Va esplicitato che i diritti sociali non sono previsti ... a futura memoria, ma vigono.
Il catalogo è lungo. Comprende il diritto alla previdenza, all'assistenza sociale, alla sanità, alla scuola pubblica di ogni ordine e grado. Comprende il diritto di ogni lavoratrice e lavoratore ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del proprio lavoro e in ogni caso - in ogni caso - sufficiente ad assicurare a sé ed alla propria famiglia un'esistenza libera e dignitosa. Comprende il diritto di sciopero. Comprende il diritto corrispondente all'obbligo di ogni imprenditore di svolgere la sua attività non contrastando l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana, tanto più, alla vita dei lavoratori. È il diritto a ottenere che la proprietà privata si legittimi, mediante il perseguimento di una funzione sociale e rendendosi accessibile a tutti.
Va esplicitato il significato della democrazia disegnata dalla Costituzione. È la democrazia che a fondamento della Repubblica colloca il lavoro, non il mercato. È la democrazia che riconosce l'appartenenza della sovranità al popolo. E non si contenta di dichiararlo, ma sancisce che tutti i cittadini hanno diritto di concorrere alla determinazione della politica nazionale, associandosi in partiti politici. Che sono in crisi, certo, ma lo sono perché, appunto, non hanno svolto e non svolgono la funzione ad essi assegnata dalla Costituzione. E sarebbe necessario imporglielo finalmente con legge attuativa di tale ruolo costituzionale.
Significa molte altre cose il diritto dei cittadini a determinare la politica. Comporta che la democrazia costituzionale non si riduca all'elezione, ogni cinque anni, dei rappresentanti del popolo in Parlamento. Preclude che la democrazia decada a regime elettivo del capo del governo e dei suoi seguaci, fedeli, ubbidienti, impiegati a tradurre in leggi i voleri del capo. Impedisce quindi che il diritto alla rappresentanza possa essere eluso e compresso. Prescrive che, per consentire a tutti di partecipare alla politica nazionale, la rappresentanza sia plurale, e corrisponda alla composizione politica di tutto il popolo, il più e il massimo possibile.
Questi i principi da attuare, gli obiettivi da raggiungere, gli imperativi da eseguire integralmente. A deciderlo fu il popolo italiano il 25-26 giugno 2006 chiamando la Costituzione repubblicana a vita nuova e lunga.


[da «il manifesto» del 24 giugno 2007]

venerdì 22 giugno 2007

Verbale n.2 del 31/5/2007


Verbale n.2
del 31/05/2007
(estratto)

Mercoledì 11/04/2007, alle ore 22, in via Demo 8, si riunisce l’Ufficio di Presidenza.
Presenti Giuseppe Buzzanga, Paola Colombino, Luca Morosini, Franca Girando, Piero Ristagno, Elvio Fassone, Giorgio Gardiol, Gilda Fiorella Imbergamo, Vito Prudente, Renato Ribet
Presiede Giuseppe Buzzanga, verbalizza Franca Girando.
L’Ufficio di Presidenza, su proposta del Presidente,
DELIBERA

9. In occasione del 60° anniversario della promulgazione della nostra Costituzione, di promuovere, d’intesa con l’Assessore alla Cultura del Comune di Pinerolo, prof. Elio Salvai, tre incontri-lezione rivolti ai docenti del Pinerolese, tramite l’interessamento dei Dirigenti scolastici e degli Assessori delle Comunità montane e pedemontane (vedi allegato 1).
10. Di sottoscrivere un documento di collaborazione con l’ANPI. Il documento d’intenti sarà ratificato il 14 giugno, alle ore 18, presso la sede dell’ANPI, alla presenza dei direttivi delle due associazioni (vedi allegato 2)

Alle ore 19.30 la seduta è sciolta.
Visto, letto e approvato

Pinerolo, 31/05/2007

Il Presidente

Giuseppe Buzzanga


Il Segretario

Franca Giraudo