sabato 30 giugno 2007

Elementi per una riflessione interna e pubblica.

di Vito Prudente



Il livello di bassezza culturale, etica e politica cui siamo giunti esprime, a mio giudizio, il grado di decadenza della nostra società, all’interno della quale, al vertice della Piramide, troviamo l’unico “valore” di riferimento che le società capitalistiche avanzate hanno saputo costruire e consolidare: il denaro/merce. In nome della “produttività” e del “prodotto interno lordo”, il capitalismo “globalizzato” ha ulteriormente determinato, come conseguenza del suo essere, una riduzione dei tempi da destinare ai bisogni individuali (tempo “per sé”) e di quelli da dedicare alla comunicazione/socializzazione (relazione con gli altri/e); lo stesso va ribadito per il tempo da destinare ai bisogni culturali/formativi (tempo per il sapere e per “l’ozio creativo”). In nome del Profitto più sfrenato e della concorrenza si lavora di notte, a 40° di calore, a ritmi sempre più sostenuti. Quest’ultimi, secondo dati molto recenti, sono responsabili dell’impennata del tasso di stress e di malattie di origine psicologica nei soggetti umani.Questa tendenza è socialmente trasversale: colpisce, infatti, persone appartenenti ad aree professionali diverse (lavoratori di linee di montaggio, operatori telefonici dei call-center, lavoratori dei supermercati e degli ipermercati, docenti della scuola, programmatori informatici). Dalla Fisica abbiamo imparato che per compiere un lavoro occorre energia (L=F S). Vero. Ma nessuna legge della Fisica ci ha insegnato che per stare bene da un punto di vista “psicologico” e “fisico” l’uomo e la donna debbano lavorare per otto ore al giorno(1), fare straordinari di Sabato e di Domenica, lavorare in condizioni di lavoro pessime e nocive, essere disponibili in qualsiasi momento (lavoro a chiamata/legge 30). La Fisica e la Chimica ci dicono, invece, che il nostro organismo per avere un certo equilibrio deve ubbidire a precise regole biolologiche; dette regole, nella vigente organizzazione del lavoro, non sono affatto considerate e rispettate.Si può quindi affermare che l’esercizio del lavoro, nel presente modello di sviluppo capitalistico/liberista (ed anche in alcuni settori del terziario), è una pratica che confligge profondamente con i tempi psico-fisici dell’organismo umano: nella scala dei valori della nostra società al primo posto c’è la “produttività” di beni e servizi da raggiungere attraverso ritmi di lavoro sempre più sostenuti, poi la persona umana con le sue emozioni, la sua dignità, la sua salute. Risultato: incremento delle patologie di origine psicologica (stress nervoso, depressione, stanchezza mentale, disagio psicologico, fobie, ansie da insicurezza dovute alla precarietà occupazionale, sindrome del “Burn-out”, riduzione dei tempi di vita destinati alle relazioni interpersonali), con costi sociali e sanitari molto alti(si pensi, ad esempio, al vertiginoso aumento del consumo di psicofarmaci). L’art.32 della Costituzione, recita: ”La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto della persona…”. Domanda: se gli attuali ritmi, condizioni di lavoro ed i conseguenti “stili di vita” rappresentano il punto di origine di patologie di natura psicologica come quelle sopra indicate, ha senso continuare ad adottare il presente modello economico-produttivo? Come sappiamo, lo stato di salute psico-fisico delle persone è organicamente subordinato anche al numero di ore di lavoro effettivamente prestate nel corso della giornata, nonché al suo grado di fatica (ritmi, turnazione, nocività, stress, ripetitività delle mansioni).Come sappiamo, lo stress da lavoro prodotto da ritmi eccessivi può persino portare a gesti estremi (ne è un esempio il suicidio di quattro operai dell’industria automobilistica Francese “Peugeot", che operavano in linea di montaggio, verificatisi alcuni giorni addietro). Il sindacalismo e la “Politica” conoscono quanto detto? Questo è un tema sul quale la “Politica” dovrà riflettere seriamente non solo nel nostro paese ma anche nell’unione europea nel suo complesso e in tutti i paesi industrialmente avanzati. Ebbene, come si può intervenire sulla contraddizione esistente tra un modello di produzione (ed il suo stile di vita imposto alla società) che “ “sgretola” l’equilibrio psico-fisico di una moltitudine di uomini e donne e ciò che è scritto nella nostra Carta costituzionale? La risposta è particolarmente impegnativa per la “Politica”.Considerando l’attuale distacco esistente tra le istituzioni ed i bisogni reali delle persone, per “erudire” e “sollecitare” l’azione della Politica occorre che il tema in questione diventi, individuando nuove tecniche comunicative, oggetto di dibattito di massa e di controinformazione tra e con i cittadini/lavoratori del territorio. Da dove partire? Sulla base di quanto suddetto, credo che una seria e radicale riflessione di natura essenzialmente culturale/conoscitiva vada proposta dalla nostra Associazione all’attenzione dei giovani e dei lavoratori assumendo come campo d’indagine l’odierno modello di sviluppo (e di consumo) e la sua organizzazione del lavoro. Naturalmente, ciò significherà riflettere su un modello produttivo “privo di sentimenti”, di cui il tempo di lavoro ed i suoi ritmi ne costituiscono l’asse portante. Percorrere questa direttrice, a giudizio di chi scrive, significa, in prospettiva, comprendere e far comprendere le cause “di fondo” che alimentano la contraddizione tra quanto è espressamente scritto nella nostra Carta costituzionale (art.32, nel quale, a mio avviso, è implicito il concetto di prevenzione) ed un modello produttivo e di consumo che sollecita, in misura rilevante, la riproduzione di patologie come quelle indicate nel corso di questo scritto.Rammento che la nostra Carta costituzionale parla di diritto al lavoro (art.1), ma non del lavoro come produttore di disagio e di sofferenza. Va inoltre detto che non solo le condizioni ed i ritmi di lavoro producono disagi legati alla sfera psicologica, ma anche la precarietà del lavoro è fonte di profonda inquietudine e di nevrosi in particolar modo nelle giovani generazioni (un dato:secondo il ministero della Solidarietà Sociale il 15% dei contratti finora stipulati ha riguardato assunzioni di personale per un periodo di lavoro pari a uno o due giorni).Dunque, se un modello di sviluppo e di produzione è responsabile per il 70% di patologie come quelle poc’anzi segnalate, va rilevato che anche la qualità dell’ambiente “esterno” al posto di lavoro ( condizioni dell’habitat /territorio)si riflette, in modo significativo, sullo stato di salute di una moltitudine di uomini, donne, bambini; non sfuggono a ciò, neppure la flora e la fauna.Può sembrare non rispondente al vero, ma se riflettiamo bene ci accorgiamo che il territorio è strettamente “consumato” con la medesima logica di base di questo modello di produzione e di consumo: nel modello capitalistico/liberista il lavoratore, all’interno della fabbrica, non è una persona ma uno strumento/merce con pochi o inesistenti diritti e bassi salari; fuori il posto di lavoro il “capitale” e la speculazione considerano il territorio non uno spazio dove le persone possano entrare in relazione con l’ambiente, ma una merce da consumare piegata ad un profitto privo di etica.Qualche esempio: cementificazione delle coste e di aree montane (vedasi i guasti provocati al territorio della V.Chisone dai giochi olimpici invernali); disboscamento eccessivo; sottrazione di aree fertili all’agricoltura per la costruzione di strade inutili e costose per la collettività (vedasi l’autostrada Torino-Pinerolo); il tentativo (per ora sospeso) di costruzione del ponte sullo stretto di Messina ed altre grandi infrastrutture (T.A.V. Torino – Lione ed altro); allargamento della base militare di Vicenza; inquinamento atmosferico (in Italia la “Politica” non è stata in grado di imporre alle aziende né il rispetto del Protocollo di Kyoto, né ha ubbidito alle direttive europee in materia di emissioni di gas serra); città invivibili. Va ricordato che tale “cultura” è stata incentivata, negli ultimi quindici anni, da una montante politica privatizzatrice che ha affidato ad enti e società private la gestione di “pezzi” di territorio; anche l’acqua, vitale risorsa naturale pubblica, la si vorrebbe trasformare in merce(2). Ancora un dato: se dividiamo il numero di abitanti della nostra Penisola per la sua superficie ci accorgiamo che il territorio/area verde a disposizione di ciascun cittadino è equivalente a quella di un campo di calcio. Il dato testè citato è drammatico,in quanto ci dice che l’attuale ritmo di cementificazione oltre a provocare fenomeni di erosione e di dissesto idro-geologico del territorio (alluvioni,smottamenti,crolli di abitazioni,processi di iniziale desertificazione del suolo), sta altresì producendo una generale alterazione della morfologia del territorio stesso, con conseguente riduzione e/o sparizione di aree verdi destinate al rapporto essenziale cittadini/natura e di territori naturalmente preposti per attività agro-silvo-pastorali.L’ambiente, come involucro naturale dell’equilibrio psico-fisico degli esseri viventi, viene così pesantemente colpito da una logica speculativa di irrazionale cementificazione, tanto da ridurre il tasso di fruibilità e di relazione fra i soggetti viventi, il territorio e la sua rete di ecosistemi. Secondo una ricerca particolarmente attendibile, la riduzione del tasso di fruibilità del territorio e di superficie pro capite verde sollecita e dà origine a comportamenti tendenzialmente nevrotici/ansiogeni nelle persone. Quest’ultimo concetto possiamo riassumerlo con la seguente equazione: meno area verde pro capite uguale più nevrosi. In Italia (ma anche all’estero), c’è una scuola di pensiero (sostenuta da economisti di mezza dose e da politici legati a lobby politico-affaristiche ed al mondo delle infrastrutture e delle grandi opere) che teorizza la “rapina” del territorio con interventi come quelli sopra citati; per costoro, la cementificazione del territorio è espressione di “progresso”. Molti di questi soggetti sanno però che non è così, ma scelgono l’ipocrisia per tenere ben saldo il connubio intercorrente tra politica ed affari (assai caro al “voto di scambio”), molto radicato nell’area politica delle destre Parlamentari italiote. Da registrare che anche in un “pezzo” dell’area politico–parlamentare di centro-sinistra, per dirla ancora con una metafora matematica, l’equazione “cementificazione del territorio uguale progresso” trova non pochi adepti/sostenitori. Domanda: è progresso la riduzione delle aree verdi deturpando il territorio? Per chi scrive (e non solo), certamente no! L’articolo 9 della nostra Costituzione parla di tutela del paesaggio; esso recita: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”.Lo stesso articolo 9, che trova poche analogie nelle Costituzioni del nostro Pianeta, esprime, grazie al legame dei suoi due commi, la peculiarità seguente: ricerca, tutela (intesa come attiva e non passiva protezione) e fruizione del territorio formano un tutto inscindibile (sentenza della Corte Costituzionale n°269 del 1995).Contro la “mercificazione” del Territorio e dell’ambiente in generale da parte del “Capitale” e della speculazione, al predetto art. 9 sono stati inoltre aggiunti “i diritti delle specie animali” (n° 705 ,2949), l’ecosistema del Pianeta (n°3591), la flora e la fauna (N°3809), lo sviluppo sostenibile, la biodiversità e l’acqua (n.4181), la non brevettabilità della vita (4423). La predetta legislazione induce lo scrivente a constatare che quanto è scritto nella nostra “Carta”, in materia di ambiente, trova scarsissimo riscontro nella realtà pratica.A sostegno di quanto affermo, è la nascita in Italia di alcune ”Associazioni Art.9” ( la prima delle quali sorta a Napoli ), costituitesi anche allo scopo di rispondere alla scellerata proposta di totale depenalizzazione dei reati contro il paesaggio/ambiente avanzata da qualche politico interessato alcuni mesi or sono. La tutela della salute degli esseri viventi, voglio infine dire, non va solo intesa come terapia dell’effetto/malattia ma soprattutto come ricerca ed individuazione della cause che favoriscono l’insorgere di determinate e particolari patologie.Da quanto sinora detto, si può tranquillamente affermare che lo stato di salute del cittadino/lavoratore è strettamente subordinato al ritmo di lavoro, alla durata dell’esercizio del tempo di lavoro, nonché alla qualità del territorio (conservazione degli ecosistemi) ed al tasso pro capite di area verde. In appendice a quanto sinora espresso, concludo questo scritto ritenendo essenziale avviare una riflessione su quanto sinteticamente illustrato; e questo per poter individuare, come Associazione, un percorso di ricerca “condiviso” finalizzato alla costruzione di una “due/tre giorni” pubblica (convegno /meeting) nel corso della quale i cittadini possano culturalmente comprendere che i concetti di completa prevenzione e di reale tutela della salute “psicologica”e “fisica” del lavoratore sono organicamente subordinati alle ragioni sopra esposte.Mi rendo conto dell’eventuale impegno (che dovrebbe essere progettato, se i membri dell’Associazione si esprimeranno positivamente, per il mese di Giugno o Settembre del 2008),ma se vogliamo contribuire ad “attuare” ciò che la Costituzione recita, occorre, pur operando in un’area territorialmente limitata ma non piccola, che i cittadini del Pinerolese vengano “chiamati” a riflettere e a discutere sul tema “salute-lavoro-ambiente attraverso la prassi del dibattito,dell’informazione e della controinformazione pubblica. Questo per dare, nel nostro piccolo, valore e forza all’azione della “Politica”. Grazie per la pazienza e l’attenzione.

Vito Prudente
e-mail: nusco1@alice.it


P.S. : se si vorrà operare in questa direzione, occorrerà, più in là, elaborare un progetto da presentare all’ente locale(Comune) ed alle Fondazioni per la richiesta di contributi finanziari.


(1) Sul rapporto tempo libero-ore di lavoro leggasi il volume “Economia dell’ozio” di Bertrand Russel e Paule Lafargue a cura di Domenico De Masi-ed. Olivares.

(2) Per saperne di più sulla campagna nazionale “Questione acqua”, andare sul sito
http://www.acquabenecomune.org/

Nessun commento: